Signore, oggi tu ci inviti a guardare le tue ferite, a riconoscerti
attraverso i segni della tua passione, inequivocabili prove del tuo
amore per noi.
Giovanni un giorno mi ha chiesto dov'eri, dove poterti trovare.
L'idea di mettere una sedia in più per te, quando la tavola è
apparecchiata, per darti da mangiare, farsi da parte nel letto per
poterti abbracciare, fu sua.
Aveva ben capito, prima di noi grandi, che, per renderti visibile, doveva farti spazio.
Allora pensai che, attraverso le parole di un bimbo,
mi stavi invitando ad accoglierti nella mia casa, mettendo a
disposizione ogni stanza, anche la più riservata, per entrare in una più
stretta comunione con te.
Anche Emanuele mi ha chiesto dove stavi, all'improvviso, senza che me l'aspettassi.
A lui non avevo avuto modo di parlargli di te, come è accaduto per Giovanni.
Troppo poche le opportunità per stare insieme, fino a
quando ha avuto bisogno di chi lo prendesse in braccio, senza farlo
cadere.
Ma non ho potuto fare a meno di usare le braccia, per stringerlo a me, quando sono stata chiamata a rispondergli.
Gli ho detto che tu eri in quell'abbraccio, nell'abbraccio di quanti si prendono cura di lui.
Che tutte le volte che gioca con il suo fratellino, senza fargli i dispetti, tu sei lì presente in mezzo a loro.
Oggi, pensando a Giovanni ed Emanuele, mi chiedo se sono riuscita a
farti spazio, se ho aperto le braccia per farti entrare nel mio cuore,
se al tuo abbraccio ho risposto con un altro abbraccio.
L'unico modo per mettere in contatto le ferite: le tue e le mie.
Guardami, Signore.
Portami a riconoscere le mie ferite, a vedere ciò che non vedo.
Solo se tu ci metti il dito, potrò guarire.